Ancora sulla necessità dell’eticologia

Ancora sulla necessità dell’eticologia

Di Stefano Scolari

In un articolo precedente [1], ho osservato come lo spostamento dell’attenzione dal rischio, dal comportamento che si vuole evitare alla norma che pretende di evitarlo fa sì che l’attore, il soggetto, che tale rischio deve evitare se ne senta ‘spogliato’ mettendo tutta la sua attenzione ad ottemperare alla norma. In altre parole, se l’addetto, il dirigente o l’amministratore delegato percepiscono che ciò che è richiesto loro è di attenersi il più scrupolosamente possibile alla norma, non sentiranno più la questione come ‘propria’ (ovvero che loro stessi in prima persona ne pagheranno le conseguenze) distraendo la propria attenzione dai fattori di rischio, e, quindi, dalla prevenzione. Si crea in questo modo una sorta di catena di scarico della responsabilità per un eventuale comportamento dannoso che va dall’addetto alle operazioni al suo supervisore e poi su su fino all’autorità che ha emanato le norme. L’addetto pensa: non devo preoccuparmi, se faccio quello che mi dice il mio supervisore sono a posto e la responsabilità è sua. Il supervisore pensa (o meglio, potrebbe essere indotto a pensare): “Seguo le norme emanate dalla mia azienda e sono al riparo dai rischi, perlomeno da quelli legali”. L’idea di fondo è che davanti ad un giudice, le persone coinvolte in un incidente o in uno scandalo avranno come propria prima strategia di difesa la dimostrazione di aver scrupolosamente seguito le norme esistenti. In una sorta di cieco affidamento di ogni attore all’ente supremo, quello che ha emanato le norme. In fondo è confortevole: non è necessario mettere in quel che si fa la propria attenzione e intelligenza, basta applicare meccanicamente le norme.

Sia chiaro, le norme e le leggi che inducono comportamenti eticamente preferibili sono utili e perfino necessarie. Ad esempio, se una società, come generalmente avviene in Europa, ha deciso che un determinato livello di welfare va garantito ad ogni cittadino, al finanziamento di tale welfare deve obbligatoriamente contribuire ogni cittadino in base ad un equo sistema di tassazione. Probabilmente lasciando liberi i cittadini di dimostrare la propria generosità in modo volontario si potrebbero raggiungere risultati di finanziamento anche migliori ma non si può correre il rischio che l’ammontare del gettito sia imprevedibile. Perciò in questo senso, un’equa tassazione è un male necessario. D’altra parte, un insieme di norme che regolino le basi del convivere civile è necessario: chiunque sia in grado di leggere e comprendere un testo può tenere comportamenti adeguati indipendentemente dal fatto che abbia una adeguata consapevolezza della situazione.

Immaginiamo che una determinata professione sia regolata da un codice deontologico così ben fatto che sono previsti tutti i comportamenti adeguati e individuati, e opportunamente sanzionati, tutti i comportamenti inaccettabili. Sarebbe in questo modo una professione al riparo da incidenti di percorso o scandali? Purtroppo l’esperienza ci dice di no.

Come prima cosa perché l’abitudine porta ad abbassare il livello di guardia: minime deroghe dallo standard – timbrare il cartellino di un collega in ritardo quel giorno, omettere un controllo di routine per far prima - spesso non portano a conseguenze e così si arriva ad una assuefazione o sottovalutazione del danno, alla normalizzazione della devianza. Che così diventa abitudine consolidata, rinforzata magari dall’esempio degli altri (e ognuno a quel punto diventa esempio e rinforzo).
Secondo, perché quello che è fallito nel caso di molti scandali è proprio il modello dell’obbedienza indotta dalla paura delle sanzioni per aver violato le norme. Prendiamo ad esempio il crac Parmalat, il più grande scandalo di bancarotta fraudolenta e aggiotaggio perpetrato da una società privata in Europa, venuto alla luce alla fine del 2003. Non è che all’epoca non esistessero norme stringenti al riguardo, ma questo non impedì ai vertici di Parmalat di usare lo scanner per riprodurre sui documenti il logo della Bank of America per creare un falso fax che attestava la presenza di 3,95 miliardi di euro in un conto della Bonlat, società off-shore della Parmalat e garantirsi così l’erogazione di crediti. In un ambiente oramai assuefatto a comportamenti eticamente inaccettabili, l’introduzione di nuove norme e più severe sanzioni non sortisce effetti se non si cambia la cultura di fondo.

Questa è l’idea di eticologia: è necessario che l’individuo recuperi la propria capacità di valutare in prima persona il valore etico delle proprie decisioni e azioni e ne sia responsabile. Compito delle organizzazioni e di chi le guida è di favorire questo cambiamento culturale. Negli anni, scandali ed incidenti [2] hanno minato pesantemente la fiducia dei consumatori verso determinate aziende o verso l’intero comparto industriale. Questo ha comportato gravi perdite per le aziende coinvolte sia in termini di sanzioni che di riduzione delle vendite per disaffezione dei consumatori. La carenza di eticità in molti attori del sistema economico emerge ogni giorno di più: i consumatori sono vittime di comportamenti al limite della frode sebbene legali; i lavoratori sempre più esposti a rischio di sfruttamento, discriminazione e abuso; nell’ambiente vengono accettati livelli legali di inquinanti sempre più alti; nella società si fa sempre più pesante l’impatto del gioco d’azzardo legale. Solo per fare alcuni esempi. Sono tutte cose legali, ma sono giuste? No e portano a danni profondi nel tempo.

Analogo ragionamento vale per le organizzazioni e le aziende. La mutata attenzione verso l’impatto etico dei comportamenti delle aziende fa sì che assuma un significato diverso l’affermazione di Milton Friedman per il quale la responsabilità sociale delle imprese, o meglio dei suoi manager, è quella di aumentare i propri profitti per remunerare l’investimento degli azionisti [3]. Come osserva Lynn Stout [4], fare gli interessi degli azionisti necessita come prima cosa di definire qual è il valore per gli azionisti: non vi è infatti un unico, singolo ‘valore per gli azionisti’, poiché azionisti diversi hanno valori diversi. Alcuni sono investitori a lungo termine che intendono detenere azioni per anni o decenni, altri sono speculatori a breve termine. Inoltre, la maggior parte degli investitori è interessato non solo alla remunerazione del proprio portafoglio azionario, ma anche al loro lavoro, alla propria previdenza e assistenza sanitaria, al futuro dei propri figli e nipoti, all’andamento di altre aziende delle quali sono azionisti, alla qualità dei prodotti che acquistano e dell'aria che respirano. Vale a dire, se la via scelta per massimizzare i profitti è quella di sfruttare i dipendenti, eludere le tasse pur usufruendo dei servizi messi a disposizione, usare tattiche sleali per battere la concorrenza, vendere prodotti scadenti o inquinando l'ambiente, alla fine porterà l’azienda a danneggiare i propri azionisti più che a favorirli. Gli standard etici che l’azienda e i suoi manager decidono di seguire, perciò, non hanno solo un generico impatto sulla società ma anche, direttamente, sugli interessi dei propri azionisti oltre che, ovviamente, su tutti gli altri stakeholder: dipendenti, clienti, fornitori, finanziatori, comunità locali e così via.

Non si tratta di scrivere un nuovo e meglio congegnato Codice etico, sebbene questo sia importante, ma di puntare all’eticologia dell’organizzazione. Questa, d’altra parte, dipende dal comportamento eticologico di ciascuno non solo nel suo posto di lavoro ma anche nella propria vita privata e sociale. Il percorso per sviluppare la propria attitudine eticologica, è un percorso di autoesplorazione e autoconsapevolezza:
• riflessione sulle proprie convinzioni, valori e motivazioni
• interrogarsi sulle fonti che guidano il nostro sistema di valori e sulle influenze che hanno modellato la nostra comprensione del bene e del male
• impegnarsi attivamente a tradurre i principi etici in azioni concrete. Ad esempio, se l'onestà è un valore fondamentale, allora dovremmo cercare di essere sinceri nelle nostre parole e azioni, evitando l'inganno o la manipolazione. Se la giustizia è un principio guida, dovremmo cercare di trattare le persone in modo equo ed equilibrato, senza favoritismi o pregiudizi
• le scelte etiche possono essere complesse e talvolta conflittuali, richiedendo pensiero critico e valutazione delle conseguenze delle azioni
• poiché l'etica non può prescindere dal contesto in cui ci si trova, le persone devono essere aperte al dialogo e alla comprensione delle diverse prospettive. Il filosofo Thomas Scanlon [5] ritiene che il dialogo sia fondamentale per l'elaborazione di decisioni etiche legittime la cui validità risiede nella ragionevolezza del processo attraverso il quale sono state prese. Il dialogo aperto e inclusivo è un elemento chiave di questo processo e consente di garantire che le decisioni siano basate su argomentazioni valide e accettabili per tutti
• l'esercizio dell'etica richiede un impegno costante per l'auto-miglioramento. Nessuno è perfettamente etico in ogni momento, ma ciò non significa che dobbiamo rinunciare ma essere disposti ad affrontare i nostri errori e imparare dalle esperienze passate per allineare sempre di più le nostre azioni con i principi etici che abbiamo abbracciato.

In sintesi, l'esercizio per assumere comportamenti eticologici richiede un percorso di autoesplorazione, autoconsapevolezza, definizione di principi etici fondamentali, pratica dell'autodisciplina, pensiero critico, apertura al dialogo e impegno costante per l'auto-miglioramento. È un cammino complesso ma essenziale per la costruzione di una società più giusta e rispettosa.


1 SCOLARI STEFANO, Non abbiamo bisogno solo di etica, ma di eticologia, «Il Divano del Filosofo», 15 maggio 2020, .

2 Per citare solo alcuni degli scandali o degli incidenti più recenti e che hanno avuto risalto mediatico: 2010 incidente alla piattaforma petrolifera Deepwater Horizon, affiliata alla British Petroleum, con conseguente massiccio sversamento di petrolio nelle acque del Golfo del Messico; 1978 affondamento petroliera Amoco Cadiz, 1989 incidente petroliera Exxon Valdez, 1999 affondamento petroliera Erika; 2015 scandalo in USA sulle emissioni dei motori diesel VW; 2013 inchiesta dell’antitrust italiana sui comportamenti illeciti di due case farmaceutiche relativamente all’utilizzo in campo oftalmico dei farmaci Avastin e Lucentis; 1982 crac Banco Ambrosiano, 2003 vendita azioni Cirio, Parmalat e bond Argentini, 2008 crisi Monte dei Paschi, 2014 caso Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca.

3 FRIEDMAN MILTON,
The Social Responsibility of Business is to Increase its Profits, The New York Times Magazine, 13 settembre 1970

4 STOUT LYNN,
The Shareholder Value Myth: How Putting Shareholders First Harms Investors, Corporations, and
The Public
, Berrett-Koehler Publishers, Oakland CA 2012.

5 SCANLON T.M,
What we owe to each other, Harvard University Press, Cambridge MA, 1998