“Sii filosofo; ma in mezzo a tutta la tua filosofia, sii sempre un uomo.”
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Breve introduzione alla filosofia analitica

Breve introduzione alla filosofia analitica

Con filosofia analitica si identifica il movimento filosofico sviluppatosi principalmente nei paesi di lingua inglese e nei paesi nordici all'inizio del ventesimo secolo per effetto soprattutto del lavoro di Bertrand Russell, George Edward Moore, dei vari esponenti del Circolo di Vienna e di Ludwig Wittgenstein. Per estensione, ci si riferisce a tutta la successiva tradizione filosofica influenzata da questi autori.

Lo slancio iniziale è arrivato dal rifiuto critico dell’idealismo hegeliano, allora dominante nelle università inglesi, e fu vista come una sorta di contrapposizione alla filosofia continentale, soprattutto di origine tedesca. Tuttavia, sia Moore che Russell furono pesantemente influenzati dal filosofo e matematico tedesco Gottlob Frege e molti dei principali esponenti della filosofia analitica, come Ludwig Wittgenstein, Rudolf Carnap o Kurt Gödel sono tedeschi o austriaci, sebbene abbiano principalmente operato in Gran Bretagna o negli Stati Uniti.

Russell riteneva che la grammatica del linguaggio naturale spesso fosse filosoficamente fuorviante e che il modo per dissipare l'illusione fosse di ri-esprimere le proposizioni nel linguaggio formale della logica simbolica, rivelando così la loro vera forma logica. A causa di questa enfasi sul linguaggio, la filosofia analitica fu largamente considerata implicare una svolta verso il linguaggio come oggetto di studio della filosofia e una conseguente svolta metodologica legata all'analisi linguistica. Per la filosofia analitica il linguaggio non è un mezzo neutro attraverso il quale formulare i problemi e descrivere la realtà, ma è il linguaggio stesso ad essere il mezzo imprescindibile di accesso alla realtà. La nostra conoscenza del reale è pertanto mediata dal linguaggio. Per questa ragione si ritiene che la filosofia analitica abbia dato origine ad una rivoluzione filosofica su vasta scala, non semplicemente ad una rivolta contro l'idealismo britannico, ma contro la filosofia tradizionale nel suo complesso.

Storia della filosofia analitica
La storia della filosofia analitica può essere suddivisa in una serie di fasi. La prima fase si svolge approssimativamente dal 1900 al 1910. È caratterizzata dalla forma quasi-platonica del realismo inizialmente portata avanti da Moore e Russell, come alternativa all'idealismo, nei loro lavori su ‘proposizioni’ e ‘significati’. Da qui l’idea che la filosofia analitica implicasse una svolta verso il linguaggio. Ma altra caratteristica di questa fase, persino più significativa, è il suo allontanarsi dal metodo di fare filosofia proponendo sistemi grandiosi o ampie sintesi e il suo orientarsi verso il metodo di offrire discussioni strettamente focalizzate che sondano un problema specifico, isolato con precisione e attenzione ai dettagli.

Dal 1910 sia Moore che Russell abbandonano le loro posizioni: Moore a favore di una filosofia del senso comune, Russell in favore di una visione che aveva sviluppato con Ludwig Wittgenstein chiamata atomismo logico. Il passaggio all'atomismo logico e all'analisi del linguaggio ideale caratterizzano la seconda fase della filosofia analitica, circa 1910-1930. A questa fase appartiene la pubblicazione nel 1921 del
Tractatus Logico-Philosophicus di Wittgenstein.

La terza fase, circa 1930-1945, è caratterizzata dall'ascesa del positivismo logico, una visione sviluppata principalmente dai membri del Circolo di Vienna, basata sul principio che la filosofia debba aspirare al rigore metodologico proprio della scienza. Come si deduce dal nome, alla sua base stanno i concetti tipici del metodo scientifico di ‘empirico’, ossia commisurato all'esperienza, e ‘logico’, dal momento che i suoi sostenitori ritengono che la conoscenza debba essere analizzata secondo i criteri logici propri dell'analisi del linguaggio che assicurino alle proposizioni un preciso significato dotato di senso. Tra gli esponenti di spicco del Circolo di Vienna vi erano, tra gli altri: Moritz Schlick, Rudolf Carnap, Otto Neurath, Alfred Julius Ayer,

La quarta fase, circa 1945-1965, è caratterizzata dal passaggio all'analisi del linguaggio ordinario, sviluppata in vari modi dai filosofi di Cambridge Ludwig Wittgenstein e John Wisdom, e dai filosofi di Oxford Gilbert Ryle, John Austin, Peter Strawson e Paul Grice.

A partire dagli anni ’60 il movimento analitico abbandona il proprio orientamento prevalente verso la ricerca linguistica e inizia ad occuparsi di temi diversi. Così la quinta fase, che a partire da allora giunge fino i nostri giorni, è caratterizzata dall'eclettismo o pluralismo. La filosofia analitica contemporanea esplora infatti altre aree della filosofia quali, ma valgono solo come limitato esempio, l’etica con i lavori di Phillipa Foot, la filosofia della politica con John Rawls, l’estetica di Arthur Danto e la filosofia della mente con Daniel Dennett La filosofia analitica post-linguistica non può perciò essere definita in termini di un insieme comune di punti di vista o interessi filosofici, ma può essere definita genericamente in termini del suo stile, che tende a enfatizzare precisione e accuratezza su un argomento ristretto e de-enfatizzare l'impreciso o la discussione su ampi argomenti.

Cosa significa essere un filosofo analitico?
Più che da un insieme di dottrine, la filosofia analitica viene definita dal fatto che i filosofi che ad essa fanno riferimento abbiano in comune una mentalità, un modo di lavorare, un interesse per alcuni argomenti e alcune domande; cioè, uno stile di far filosofia. Per utilizzare una espressione di Wittgenstein potremmo dire che si tratta di ‘somiglianze di famiglia’: “Non posso caratterizzare queste somiglianze meglio che con l’espressione ‘somiglianze di famiglia’ ; infatti le varie somiglianze che sussistono tra i membri di una famiglia si sovrappongono e s’incrociano nello stesso modo: corporatura, tratti del volto, colore degli occhi, modo di camminare, temperamento, ecc. ecc.” (L. Wittgenstein,
Ricerche filosofiche, Einaudi, Torino 1974, p. 47).

Le caratteristiche proprie di questo stile filosofico sono:
  • rigore argomentativo: si evitano sempre le conclusioni troppo affrettate, e si cerca di assicurare fin nei minimi particolari la validità logica dei propri ragionamenti;
  • analisi approfondita di un argomento specifico. Ne è conseguenza la relativa scarsità di libri pubblicati dai filosofi analitici: è più comune l’articolo su un argomento circoscritto che la lunga opera di carattere sistematico;
  • il rifiuto di generalizzazioni totalizzanti e dell’uso di un linguaggio ambiguo, metaforico o di ‘paroloni’ altisonanti che fanno tanto ‘filosofo’ ma il cui significato è assai dubbio;
  • si crede nella comunità di ricerca e si vede la ricerca filosofica come un lavoro cumulativo e collaborativo, opera di una comunità di ricercatori. Si esige perciò che le argomentazioni possano essere discusse: la cooperazione sarebbe infatti un requisito nella ricerca della verità;
  • attenzione e rispetto per i risultati della ricerca scientifica. In generale è considerato inopportuno, se non apertamente illecito, che un filosofo contraddica risultati ampiamente accettati nelle scienze naturali, a meno di non fornire argomenti di valore scientifico a sostegno del proprio rifiuto.
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